Luoghi del tempo

E sono tornato a frequentare territori abbandonati che in realtà ci si accorge non sono poi così trascurati, qualcuno passa. Inselvatichiti però sì e questo aspetto è per me fondamentale. Scrutare la montagna come un bambino che gioca a fare l’investigatore alla ricerca di un minuscolo indizio, può essere un ramo oppure un tronco tagliato, una pietra sistemata a mò di gradino invasa dalla fitta vegetazione o sporgente dal terreno, o qualsiasi altro timido segnale a testimoniare un antico, a volte anche più recente transito di una presenza umana. Perché la via la si trova anche imparando a seguire l’istinto, che però va allenato.

 

Ma finché non mi distaccavo dalla “zona di conforto” iniziai a rendermi conto che difficilmente avrei ottenuto ciò che desideravo. Ho dunque scoperto e compreso che l’accesso alle montagne di casa nostra consiste in un banco di prova davvero ideale, soprattutto in determinate zone. Col tempo e all’inizio un po’ in sordina, mi sono lasciato appassionare dall’intrigante richiamo selvaggio di questi luoghi che possiamo definire di remotezza assoluta anche se mai troppo distanti dalla civiltà. Qui posso leggere la nostra storia meglio che sui libri, posso sorprendermi di come un tempo uomini e donne siano riusciti a passare, posso meravigliarmi che lo abbiano fatto quando dal basso sembrava impensabile. Qui posso essere libero da ogni vincolo, soltanto la morfologia del terreno può dettarmi una condizione; o si passa o non si passa.

Libero anche di ascoltare quelle voci che mi immagino siano delle guide parlanti nella mia mente, libero di essere intimorito dai rumori esterni che mettono subito sull’attenti, libero dunque di spaziare all’immaginazione che prende frequentemente il possesso sulla ragione. Ricordo in un’occasione di aver ritenuto che quel corpo oscillante non meglio identificato ed appeso a debita distanza su di un ramo avesse le sembianze di una persona impiccata che si è tolta la vita… allora eravamo in due ed entrambi abbiamo avuto la stessa identica percezione. Alla fine e dopo una premurosa e palpitante osservazione, concordammo che il fantomatico soggetto in realtà fosse un telone malridotto volato lì da chissà dove, ma il modo in cui esso stava appeso dimostrava una forte somiglianza con la figura di un essere umano ed il posto tenebroso in cui ci trovammo era in grado di trasmettere un incredibile potere suggestivo.

E ciò solitamente accade finché ci si ritrova nel fitto bosco, una volta sbucati in radure o su pascoli erbosi l’apprensione svanisce. E’ come se la foresta ci imbrigliasse in una gabbia e prendesse il controllo su di noi. Certo che qualora lì vi fosse un bel sentiero tracciato, può anche essere lo stesso luogo che tutto cambia. Ma forse è solo questione di abitudine, perché se ad esempio noi esseri umani fossimo “animali” notturni avremmo timore del giorno, non credete?